Canavero, trainer d’impresa: «Sfidare chi prende 10 euro per un taglio è impossibile. Coiffeur, puntate sul talento»

Pettine e forbici in mano, sono interpreti di un mestiere antico, ma il tempo nel quale devono allenarsi e il futuro, più del passato.
Altrimenti, come spiega Lelio “lele” Canavero, trainer di impresa specializzata nel settore dell’hair&beauty (quello che in Italiano suona come parrucchiere), «O ti distingui o ti estingui».
Da vent’anni Canavero lavora al fianco dei professionisti del settore e, solo nell’ultimo anno, ne ha formati circa mille ai quattro angoli del Paese. Ma in due decenni ha anche visto un comparto che rispetto alla società si è mosso a una velocità minore. Quasi pigro e “accontentandosi” delle conoscenze e del talento accumulato. E così, complice anche la crisi, soltanto in Piemonte negli ultimi cinque anni si è registrata una flessione dell’1,7% delle imprese dell’hair styling. Oggi sono 8.609 e solo rispetto al primo trimestre del 2017 il calo è stato dello 0,2%.
Canavero, cosa si vede nello specchio, accomodandosi sulla poltrona da barbiere?
«Si osserva, come dicono anche le cifre, che ci sono troppi parrucchieri per un numero di clienti che sta calando. E la cosa più incredibile è che l’aumento dei negozi si è registrato soprattutto quando i clienti stavano diminuendo in maniera più evidente. Ora esistono tre categorie di operatori: quelli che stanno soffrendo, quelli che vanno esponenzialmente bene e quelli che si illudono di vivacchiare, ma che in realtà non si rendono conto di non riuscire nemmeno a ricavare uno stipendio per se stessi».
Qual è il polso, in Piemonte?
«Torino evidenzia bene la stagnazione, con un calo dell’1,8% in cinque anni e solo Novara viaggia in controtendenza, con un +1,3% nel corso del 2017. Anche Cuneo mostra dati interessanti, anche se il dato è positivo solo dello 0,2%, ma sale al +1,5% dal 2013: unico dato positivo in tutta la regione in quell’arco di tempo. In difficoltà Biella (-6,8% in cinque anni), Vercelli (-4,8%) e Asti (-3,5%)».
Ma questo dato influisce un amento delle imprese straniere?
«Quelle registrate alla Camera di commercio sono ormai il 7% del totale piemontese. E se nell’ultimo anno l’aumento è stato del 6,4%, in 5 anni sono cresciuti del 50%. Una tendenza analoga a quella italiana».
Visto che però si parla tanto di abusivismo, questo non può essere un buon segno?
«Il sommerso purtroppo rimane di dimensioni molto maggiori di quelle che possiamo immaginare e poi non dimentichiamo che gli imprenditori regolari, soprattutto cinesi e indiani, godono di agevolazioni di legge per le aziende straniere che di fatto tagliano fuori gli italiani. E praticano prezzi bassissimi.
Com’è possibile competere?
«Infatti non bisogna fare la battaglia sullo scontrino da 10€ al taglio. Bisogna riuscire a distinguersi, specializzarsi. Eppure è un messaggio che non passa tanto facilmente».
Come mai?
«Spesso gli operatori sono refrattari al marketing, convinti che basti il passaparola o uno sconto. Invece il marketing insegna proprio il contrario: non devi fare sconti, ma proporre qualcosa di unico e, come tale, di prezioso. E poi – continua “lele” Canavero – bisogna puntare sul web, sulla cura del cliente, sui social. Bisogna stare al passo coi tempi, perché il talento e l’esperienza non possono bastare. È meglio piuttosto selezionare la clientela, ma seguire una strada propria. Faccio un esempio: a Torino lavora Nicola Zanivan, che è diventato un punto di riferimento per il biondo. Quella è la strada da seguire. Non bisogna sfidare gli operatori stranieri (o, peggio, gli abusivi) sul prezzo, ma giocare a un altro sport. Crearsi un proprio spazio che sia unico».
Tra i giovani esiste ancora la passione per un mestiere così antico?
«Il figlio d’arte è molto diffuso e di sicuro sfrutta la posizione di vantaggio di raccogliere il testimone da mamma o papà all’interno di un ambiente in cui è cresciuto fin da bambino. Ma le nuove generazioni sono anche quelle più aperte e sensibili all’innovazione, a Internet e all’uso dei social. In generale, anche per chi intraprende la strada per la prima volta, c’è voglia di fare e rigenerare questo mestiere. Ma è un impulso che non ha età: lo scopri a 20-22 anni, ma anche a 62, se trovi l’ispirazione e individui la tua specializzazione. O ti distingui, o ti estingui».
Articolo tratto dal numero del quotidiano “la Repubblica” di Domenica 24 giugno 2018.